~•Hinata The First Fan Forum~•

storiella...

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  1. ..--"rika"--..
     
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    avevo iniziato una storiella su un'altro forum...
    nell'altro sono arrivata a 9 capitolo, qui ve ne metto due...se vi piace aggiungo gli altri ^^
    mi scuso in anticipo per i miei vari errori di digitatura..ma sapete, scrivo di getto e non rileggo mai quel che scrivo xP

    1° CAPITOLO
    ehi, ma...ti vuoi forse buttare??-.
    mi volto verso il signore che mi parla. è un tipo sulla cinquantina affacciato su un balcone vicino a me, dall'aria piuttosto stupida..
    mi chiedo se dovrei sillabargli la risposta.
    cioè, uno che fa certe domande..
    una ragazzina che stà in piedi sul davanzale della finestra che potrebbe fare, se non buttarsi?
    -sì, certo- dico.
    nonostante l'aria stupida, sembra aver capito. meglio. non ho molta voglia di perdere tempo.
    dopo essersi grattato la testa, il signore continua il suo dialogo:
    -ma..non hai paura a stare lì, sul vuoto?
    -no. tanto se mi butto spontaneamente o cado è uguale. finisco lo stesso a terra.
    -sì, mi sembra sensato..-.
    il signore continua a grattarsi la testa, ma ora sembra più calmo.
    -ma...puoi spiegarmi una cosa?
    -mi dica.
    -perchè vuoi buttarti?-.
    mi prendo un pò di tempo per rispondere. guardo un pò il cielo, dove vola uno stormo di uccelli. ora passa un aereoplano.
    ora guardo la strada, a cinque piani di distanza da me. indico di sotto.
    -guarda- gli dico.
    -oh..scusami, davvero, ma non credo di..potercela fare, ecco. soffro di vertigini.
    -di vertigini?
    -sì. ho paura di cadere nel vuoto. comunque, cosa avrei dovuto guardare?-mi chiede.
    mi fermo un attimo a contemplarlo. mi ha fatto una domanda interessata. è strano.
    gli importa davvero qualcosa di me. gli importa delle mie idee e delle mie considerazioni.
    possibile?
    -c'era una signorina, tra la folla. un labro, da dietro, gli ha sfilato il portafoglio dalla borsetta.
    -beh..e quindi?
    -il mondo è impuro. è pieno di gente corrotta, di criminali. che senso a vivere in un mondo così?-.
    il signore ha degli occhi piccoli piccoli, che sembrano scuri, un pò per l'ombra che deriva dalle folte soprascciglia, un pò per le pupille che sembrano più grandi del normale.
    ma in realtà ha gli occhi verdi.
    -mah, scusa il ragionamento, ma...perchè non hai avvertito la signora?
    -a quale pro?
    -beh, salvare il suo portafogli.
    -così.
    -che vuol dire così?
    -vuol dire che non lo so..
    -come ti chiami?
    -Matilde.
    -Matilde, sei decisamente troppo impura per poter aspirare a qualcosa di più di questo mondo.-dice, e se ne và. nel senso, che rientra. rientra dal balcone vicino alla mia finestra.
    scendo giù dal davanzale, rientrando nella mia cameretta, e decido di seguirlo.

    2° CAPITOLO
    il mio appartamento, se quella trappola mortale destinata a cadere a pezzi si può chiamare appartamento, è situato su uno dei condomini della città, nella più remota periferia..
    non c'è da stupirsi se non riconosciamo più i nostri vicini.
    troppi volti arrivati..troppi volti andati via..
    ed infatti, quel signore non l'ho mai visto, fino ad oggi. però so qual'è la porta dell'appartamento che si affaccia a quel balcone.
    Esco dal portone di casa mia, in corridoglio.
    Eccola, la porta proprio accanto a noi. Semi-aperta.
    Fantastico...
    Entro.
    -signoree?
    -chi è?-.
    mi si affaccia il signore di prima, da dietro una montagna di scatoloni piuttosto malconci.
    si gratta la testa per alcuni secondi, poi mi riconosce:
    -ah, sei tu!- dice -non ti sei più uccisa alla fine?
    -scuoto la testa.
    -perchè?-.
    la stanza puzza di polvere. penso che probabilmente il signore ne sia allergico, dato che, appena finita la frase, si è messo a starnutire. e con questo caldo, non penso che possa aver preso freddo...
    non ho voglia di rispondere alla sua domanda.
    -lei come si chiama?
    -lei chi?
    -beh..lei!- dico, indicandolo.
    Lui si gratta per l'ennesima volta la testa, poi starnutisce.
    a dire la verità, questa storia mi ha un pò stufato.
    corro a spalancare le finestre.
    -ah, intendi me? ma dammi del tu, bambina..
    -non sono una bambina, ho 14 anni. e mi chiamo Matilde, gliel'ho già detto.
    -scusami, Matilde.
    -non importa. cavoli, se sono dure queste finestre..ah, ecco fatto. comunque, non mi hai detto ancora il tuo nome.
    -mi chiamo Narciso..-risponde finalmente, spostando dalla montagna uno degli scatoloni e cercando di aprire lo scotch con un taglerino -..comunque, neanche tu hai risposto alla mia domanda. comunque, tanto che sei qui è sei viva..ti va di darmi una mano?
    -ok. ma non pensi di dover dare una spolverata prima di mettere a posto le tue cose? comunque, Narciso è un nome strano.
    -dici?
    -intendi riguardo la polvere o riguardo il nome?
    -la polvere.
    -sì, dico. anche se abiterai qui per poco tempo, è meglio se dai una pulita. almeno starnutirai di meno.-.
    Lui si gratta la testa, poi starnutisce.
    -non ho capito. perchè dovrei starnutire di meno?
    -mi sembra ovvio. sei allergico alla polvere.
    -dici?
    -dico-.
    grattatina alla testa. starnuto.
    -si, penso che tu possa avere ragione.
    -beh, mi sembra piuttosto ovvio, dato che prima, sul balcone, non hai mai starnutito. comunque, vado a prendere una scopa da casa mia, almeno ti do una mano.
    -ok. allora io intanto sposto questi scatoloni dal centro della stanza e li metto al muro..-.
    Raggiungo il suo portone, ancora semi-aperto. Poi mi giro verso di lui.
    -non mi sono buttata perchè penso che in fondo, tu abbia ragione. sono decisamente troppo impura per poter aspirare a qualcosa si più di questo mondo.-.
    Mi aspetto di vederlo grattarsi la testa, starnutire e chiedermi "dici?".
    non lo fa.
    prende semplicemnte alcuni scatoloni e, senza neanche guardarmi, mi dice:
    -beh, mi sembra piuttosto ovvio-.
     
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  2. sara-chan
     
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    WAAAAAAAAAAAAAAA...ma è bellissimo*_*
    CONTINUA CONTINUAxD
     
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  3. ..--"rika"--..
     
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    davvero? *-*
    ti avverto, sono molto vanitosa e più ricevo complimenti e più ne voglio u.u
    xD

    posto tutti i capitoli mai creati...

    3° CAPITOLO
    - e questa bambola? Da dove spunta? -chiedo, sollevandola da terra.
    -quale..?- mi chiede Narciso.
    E' passata quasi una settimana da quando ho conosciuto Narciso. Una settimana passata a spolverare, ad aprire scatoloni, e a disporre vari oggetti sui vecchi mobili dell'appartamento. solo il letto della camera degli ospiti -un letto a baldacchino da una piazza e mezzo- è stato portato il terzo giorno dalla vecchia casa di Narciso, sostituendo quello polveroso dell'appartamento, costringendolo così a trovare nuova dimora della soffitta comune di tutto il condominio.
    -ah..quella?
    -sì, questa..-
    Lui mi si avvicina e mi prende cautamente la bambola di mano, con una accuratezza neanche paragonabile alla dolcezza con cui una madre tocca suo figlio neonato..
    -questa..
    -"questa" cosa?-chiedo, dato che questo gioco inizia ad annoiarmi.
    -niente. è una vecchia bambola- dice,e me la riporge.
    ne so quante prima.
    comunque, questa bambola sembra tutto fuor chè vecchia. anzi, è proprio bella.
    -tua madre oggi non ritorna a casa per pranzo?- chiede, cambiando discorso.
    guardo l'orologio rotondo che abbiamo attaccato ad una parete:
    -oh, sono già le 11 e mezzo? comunque no, oggi non torna.-
    -mangiamo qualcosa insieme, allora?-
    -come sempre.
    -perfetto..-
    mia madre fa la cameriera. detto questo, c'è da chiedersi "ma scusa, allora quand'è che torna per pranzo?". ineffetti, quasi mai. ma non vi sembra che, per un signore quale è Narciso, può sembrare un pò da..ecco, da pedofilo, chiedere subito ad una adolescente di pranzare insieme?
    -a che ora ti va di mangiare?
    -come sempre.
    -perfetto-.
    prima che incontrassi Narciso, pranzavo sempre da sola. a qualunque ora mi andasse, uscivo di casa e andavo a mangiare qualcosa, in una pizzeria o al fast food vicino casa.
    voi vi chiederete: "ma come mai non vai a mangiare dove lavora tua madre?"
    innanzi tutto, pretendo che vi rivolgiate a me dandomi del lei, dato che non ci conosciamo. secondo, mia madre lavora in un ristorante al centro.
    e come ho già detto, noi abitiamo nella periferia più remota della città.
    ad ogni modo, da quando ho conosciuto Narciso, pranziamo sempre insieme, a casa sua.
    prima mi chiede se voglio mangiare insieme a lui, poi andiamo al supermercato, compriamo qualsiasi cosa di cui ci venga voglia, torniamo a casa sua e mangiamo.
    e così facciamo anche oggi.
    stò appunto addentando dei pomodorini arrosto, quando Narciso mi fa:
    -ormai abbiamo finito di pulire casa..
    -eggià.
    -ecco, pensavo che, da questo pomeriggio, non mi servirà più il tuo aiuto. me ne ritorno a lavorare.-.
    poso la forchetta e lo guardo.
    -lavoro? perchè, tu lavori?-.
    lui si gratta la testa, portando così in aria la forchetta e schizzando la tovaglia di cibo.
    -certo che lavoro. tutti lavorano, per guadagnare soldi e vivere. o ti sembro forse un pensionato?-.
    con un tovagliolo di carta cerco di pulire la tovaglia, ed intanto penso a come rispondere:
    -beh..no. però avevo iniziato ad abituarmi a vederti tutti i giorni qui, perciò..non ho mai pensato che tu potesi lavorare. comunque..dove lavori?-.
    alla mia domanda, Narciso aveva appena portato una forchettata alla bocca, perciò mi fa aspettare un pò per avere una risposta, e quando me la da schizza lo stesso altri pezzettini di cibo in giro: -lavoro qui. -dice.
    -qui?
    -sì, qui.
    -qui-qui?
    -eh?
    -cioè..ma proprio qui? a casa tua?
    -sì.
    -ma cosa fai qui, a casa tua?-.
    lui prende un tovagliolo e si pulisce le labbra:
    -sono uno scrittore.-.
    non so molto degli scrittori. insomma, so che scrivono. e che scrivono libri. ma, onestamente, ora non mi viene in mente neanche il nome di uno scrittore.
    lo scrittore?
    -ma..questo vorrà dire che non potrò più venire qui?
    -ma tu abiti qui.
    -no, dico "qui", nel senso di casa tua.
    -ah, ecco. ti dispiace?-.
    mi dispiace? n...o. non mi sembra. non mi importa. a me non importa più niente, ormai. ho passato quasi un'intera vita senza venire tutti i giorni qui, posso riniziare quando voglio.
    però, a me piaceva venire qui.
    -se ti va, puoi continuare a venire...solo se ti va, è ovvio. ma non ci sarà molto da fare..
    -non importa. tanto neanche a casa mia ho niente da fare..-dico, e mi rimetto a mangiare.
    da quanto tempo è che non sorridevo più?

    4° CAPITOLO
    Detto fatto, dopo pranzo Narciso si è messo a scrivere sul tavolo nella sala da pranzo, mentre io sono rimasta a casa sua.
    Non ho molta voglia di disturbarlo, credo che mi sentirei in colpa...e poi, onetamente ho un pò sonno.
    raggiungo la stanza con il letto a baldacchino, e mi metto sopra.
    penso che sia un letto davvero molto comodo.
    e poi, anche esteticamente..mi piace molto. le tende sono di un bel velluto rosso, mentre sulle coperte, sui lenzuoli e sui cuscini sono dipinte tante rose di colori caldi..
    io adoro le rose. non so neanche perchè.
    spesso nei miei sogni mi ritrovo su campi di rose fiorite, campi immensi e immaginari.
    peccato che sono solo sogni.
    sogni che lasciano dolcissimi ricordi...

    -Maty? Dove ti sei cacciata?-.
    Sbadiglio, sentendo il suono della sua voce. La sua voce..così calma, così dolce..
    Sbuco fuori da un cespuglio profumato di rose rosse.
    -eccomi qui-dico, e le vado incontro.
    lei mi guarda e si mette a ridere, poi inizia a togliermi i petali dai capelli ricciuluti.
    -ti diverte dormire tra le rose, eh?-.
    mi metto a ridere.
    -è che...beh, è che hanno un profulo così buono..- dico, e mi avvicino per abbracciarla..starnutisco.
    la guardo, come se non la riconoscessi più. quell'odore...quell'odore...quell'odore che non sa di lei...quell'odore che è il suo odore...
    il suo odore, che riesce a distruggere quello di lei.
    quell'odore non mi piace.
    voglio andare via.
    mi sono stufata.
    mi sveglio.


    apro gli occhi, e mi ritrovo davanti al volto la bambola. la stessa bambola che ho visto questa mattina.
    seduto per terra, narciso mi guarda.
    -bensvegliata- mi fa, grattandosi la testa.
    -oh..mi sono addormentata? scusa...- gli dico, tirandomi su in piedi e cercando di mettere a posto le coperte meglio che posso.
    -stà tranquilla- mi dice lui, tranquillamente.
    non si alza neanche in piedi.
    mi dirigo verso di lui:
    -allora? hai iniziato a scrivere qualcosa?
    -no. non ho trovato alcuna idea soddisfacente...
    -ah.
    -capita..
    -andiamo in cucina? lì almeno c'è più luce...
    -la stanza più illuminata dell'appartamento. sì, mi sono accorto anch'io. va pure, io ti seguo-.
    raggiunta la cucina, vedo sul tavolo un quaderno nuovo di zeppa, pieno di scarabocchi..
    presa dalla curiosità, mi avvicino e guardo meglio...
    -Matilde..-sussurro, quasi senza accorgermene.
    in quel foglio, sparzo e ripetuto all'infinito con diverse grandezze e caratteri strani, il mio nome.
    -matilde..posso chiederti una cosa?
    -dimmi, narciso?
    -posso chiamare la protagonista del mio nuovo romanzo come te?
    -come..me? sì, certo..-.
    ed è così che tutto ha avuto inizio.

    5° CAPITOLO
    -dove sei stata?- mi chiede di malagrazia mia madre, mentre rientro a casa.
    strano, sono le dieci di sera ed è già rientrata. di solito fa molto più tardi.
    -perché sei tornata così presto? -le dico, senza prestarle poi molta attenzione.
    lei da un altro tiro alla sigaretta e mi guarda, un po' arrabbiata.
    -non hai risposto alla mia domanda, signorina.
    -se è per questo, neanche tu. e poi, dovresti saperlo che non devi fumare in casa.
    faccio per tornare in camera mia, ma lei mi trattiene tenendomi per una manica della maglietta.
    -lasciami. -le dico, senza neanche guardarla.
    lei mi lascia. io vado in camera mia.
    mi sdraio sul letto.
    le rose...
    ripenso al sogno che ho fatto questo pomeriggio a casa di Narciso. uno dei tanti sogni che ho fatto. uno dei tanti sogni con le rose.
    peccato che non mi ricordi nient'altro, dei miei sogni.
    ricordo le rose, ricordo quanto mi piacciono e ricordo il senso di malinconia che mi avvolge al risveglio. la malinconia che mi porto dietro dal sogno.
    mi piacerebbe tanto sapere da cosa, da quale fatto onirico deriva quella malinconia.
    dannata memoria incompleta...
    sento bussare alla porta della mia stanza.
    sebbene non ho risposto, mia madre entra lo stesso, portandosi dietro una sedia della cucina, e si mette a sedere vicino al mio letto.
    ha finito la sigaretta che stava fumando prima.
    -si è allagata la cucina del ristorante, perciò ha chiuso, e per questo sono tornata a casa prima, ma al contrario di quanto pensavo non ti ho trovato a casa- mi fa.
    -e domani?
    -domani torno a lavoro dalla mattina, come sempre. il ristorante non può permettersi di rimanere inattivo e disdire tante prenotazioni. penso che sistemeranno tutto questa notte. tu, invece, che mi dici?
    -sono stata da Narciso.
    -chi?
    -Narciso. è un vecchio che abita nell'appartamento vicino al nostro. è uno scrittore. -dico.
    lei si guarda per un po' le unghie, poi mi chiede:
    -una persona a posto?
    -sì.
    -bene. mi fido di te. hai già cenato?
    -sì. ora vorrei andare a dormire.
    -beh, allora buonanotte. -dice, e si alza dalla sedia.
    si piega su di me per darmi un bacio su una guancia. è parecchio che non lo fa più.
    -mamma?
    -sì?
    -puzzi di fumo.
    lei si limita a scrollare le spalle, a tirare su la sedia e lasciare la stanza.
    e questo è il rapporto che ho con mia madre.

    6° CAPITOLO
    -in ritardo oggi, eh?- mi saluta Narciso, alzando lo sguardo dal suo racconto e grattandosi la testa.
    chiudo la porta alle mie spalle: sono appena arrivata.
    -eggià.
    mi avvicino al tavolino dove lavora e prendo una sedia.
    -cos'hai oggi?- mi chiede lui, posando la penna e dedicandosi totalmente a me.
    -niente..-gli dico.
    -quell'espressione non dice affatto "niente".
    -vabè, però...non è niente di importante. -gli dico, come per chiudere l'argomento.
    non è affatto un problema. e solo la mia vita.
    e poi...
    non sono abituata a parlare dei miei affari personali. è una cosa che mi infastidisce profondamente, un qualcosa totalmente lontano da me.
    narciso continua a guardarmi, aspettando. non mi chiede niente, aspetta e basta.
    sembra davvero interessato ad ascoltarmi. possibile?
    -è mia madre. -gli dico.
    -tua madre? -chiede lui, con la sua solita aria da imbecille.
    -sì, mia madre. l'ho incontrata ieri sera, quando sono tornata a casa.
    -non mi sembra di aver mai incontrato tua madre...
    -infatti. lei esce la mattina presto per andare a lavoro, torna la sera tardi. io stessa, che vivo con lei, la vedo pochissimo. però ieri è tornata a casa prima, dal lavoro. le ho parlato...non so perché, ma questo mi ha messo di cattivo umore.
    -forse perché hai paura.
    -scusa?- gli chiedo io. paura di cosa?
    ma almeno, mi stava ascoltando?
    -noi tutti abbiamo paura di ciò che non conosciamo. forse tu hai paura di tua madre. hai paura di quello che potrebbe dire, e di quello che potresti dire tu. perché se tu non dici cose giuste, magari a lei non piacerebbero. e non sai quello che farebbe se non fosse s'accordo con te.
    -non mi picchierebbe mai. -intervengo io.
    -non ho mai detto questo.
    lui mi guarda, con la sua solita espressione. sì, d'accordo, magari quello che dice avrà pure un senso, ma...
    ma?
    decido di cambiare discorso.
    -come va il romanzo?
    -va. a proposito, grazie ancora di avermi permesso di usare il tuo nome per la protagonista.
    -figurati.
    lui riporta la sua attenzione al racconto, e raccoglie i fogli sparsi sul tavolino, per riordinarli.
    a quanto vedo, avrà già scritto una decina di pagine...
    -mi farai leggere il tuo racconto, prima o poi?
    lui si gira, e per la prima volta riesco a capire veramente il suo stato d'animo. lui è terrorizzato.
    terrorizzato?
    no, impossibile...
    in pochi secondi torna alla sua espressione di sempre, tanto che non sono neanche sicura di aver veramente visto del terrore, prima.
    -prima o poi. -termina lui.
    si alza.
    -vado a prepararmi una tazza di tè. ne vuoi una anche tu?
    annuisco, e lui va a prendere il necessario da una mensola, arrampicandosi sopra una sedia ché è troppo basso per arrivarci da solo.
    -posso chiederti una cosa?
    -dimmi.
    -si vedeva tanto, che avevo un problema?
    -sì. hai cambiato atteggiamento, hai cambiato espressione. hai cambiato persino la sedia dove di solito ti siedi.
    ah, è vero. di solito mi metto sull'altra.
    mi alzo per sedermi dove di solito, ma scanzandola da sotto il tavolo mi rendo conto che non posso.
    e già occupata dalla bambola.
    la bambola.
    continuo a guardare la bambola, un po' inquietata dalla sua presenza.
    perché? a dire la verità, non lo so neanche io.
    mi capita, a volte, di sentire un forte disagio dentro, un'emozione forte che dal cuore raggiunge il culmine, togliendomi il respiro, rendendomi prigioniera e troppo pesante per potermene liberare.
    mi batte forte il cuore, gonfio di questo sentimento, il respiro si fa affannoso, mi gira la testa.
    c'è una bambola al mio posto.
    Sono stata rimpiazzata da una bambola. e allora?
    non lo so. so solo che mi sento male, male da morire, e mi piacere svenire per perdere i sensi e non sentirmi più come mi sento adesso.
    mi tremano le gambe, ma non cadrò. sono tropo forte per cadere.
    semplicemente, continuerò a stare così male.
    -che hai? -mi fa Narciso, svvicinandosi.
    lo vedo vicino a me, e lo abbraccio.
    perché? non so. per trovare un aiuto, forse. o per avere la sicurezza di non cadere.
    anche se so che, così facendo, non potrò fare altro che aspettare che termini il batticuore.
    sento battere ache il cuore di Narciso, attutito dal pancione, tuttavia irregolare quanto il mio.
    l'inquietudine sale a mille, mi distacco da lui nella tentata ricerca di un equilibrio.
    -non mi sento bene...-gli dico.
    -vuoi metterti sul letto della camera degli ospiti?-mi chiede.
    e vorrei rispondergli di no, che torno a casa mia, e sdraiarmi sul letto di camera mia, sotto le coperte...
    eppure non lo faccio.
    -ok.

    7° CAPITOLO
    Rose bianche, rose rosse.
    Mi guardo intorno, e vedo solo rose.
    Rose gialle, rose verdi..no, non sono rose verdi. sono solo normalissimi boccioli non ancora aperti.
    come se li avessi chiamati, come se avessi dato loro un nome e lo avessi pronunciato, una serie di boccioli avanti a me iniziano a schiudersi.
    avanti a me, dietro a me, ai lati. sono circondata.
    le rose si stanno aprendo tutte nel medesimo istante, rivelandone i colori. nascono verdi, si schiariscono nel bianco.
    c'è qualcosa di strano.
    qualcosa di così strano, che le rose non si limitano ad aprirsi ed a mostrarsi, ma continuano a muoversi.
    qualcosa di strano..
    non sento più il profumo delle rose. anzi, non avverto alcun profumo.
    le rose si colorano di una sfumatura rosa, che piano le colora, e le scurisce fino a farle diventare rosse...e non contento, continua a scurirle fino a farle diventare più scure..fino a farle diventare nere...
    il nero è il suo colore.
    si alza un forte vento, portandosi dietro il suo odore, così forte che fa seccare le rose e ne ruba i petali nella stessa forza, e vedo petali avanti, dietro ai lati e sono circondata.
    ma non ho paura.
    mi sveglio.

    mi sveglio e sono qui, sul letto nella casa di narciso.
    sono qui da...quanto? non so.
    Narciso non è qui nella stanza, ma non ho voglia di cercarlo: mi sento stanca, e l'unica cosa che ho voglia di fare e che faccio è stringere in un pugno il lenzuolo ornato dalle piccole rose.
    rose?
    dovrei ricordarmi qualcosa sulle rose..uno di quei ricordi che non mi appartengono più, uno di quei tanti ricordi a cui penso ma che non riesco ad afferrare.
    afferro le rose del lenzuolo, ma non i ricordi.
    ricordi di cosa, poi? non so. di gran parte dei miei sogni e di...tante e tante altre cose che non ricordo, che la mia mente non ha rimosso eppure mi impedisce di conoscere.
    mi alzo dal letto, ho fame.
    in cucina, narciso è appoggiato al tavolo, e dorme.
    lì sopra i fogli del suo romanzo.
    torno a casa mia, arrivo in camera di mia madre.
    mi è sempre piaciuta, la camera di mia madre. non so neanche io il perché.
    mi fermo davanti ad uno specchio a muro che, da quanto ricordo, c'è sempre stato.
    guardo il mio riflesso, che termina con la fine superiore dello specchio e la mia fronte.
    e pensare che da piccola non riuscivo quasi a raggiungere l'estremità inferiore per vedermi...
    mia madre mi tirava su in braccio, per drmi una mano.
    quando mia madre ha iniziato a dileguarsi dalla mia vita, ho imparato ad arrampicarmi sopra le sedie, per ottenere lo stesso risultato.
    peccato che non ci sia mai riuscita.
    il mio riflesso, è diverso senza mia madre.
    mia madre, quando sorride, sembra che tutta la stanza di illumini di gioia.
    per me non è stato mai così.
    apro la bocca, aguardare quello stupido apparecchio che tanto odio.
    io non sono affatto come mia madre.
    lei ha i capelli ricci e ramati, gli occhi verdi, è magra ma ha le curve giuste.
    io ho i capelli neri e lisci. gli occhi marroni. sono piatta e troppo grassa insieme.
    lo so che non sembra coerente, ma è così.
    ho la pelle chiara, e questo accentua i brufoli e i punti neri.
    mi arriva uno sputo in faccia.
    cioè, arriva uno sputo in faccia al mio riflesso. uno sputo proveniente dalla mia bocca.
    torno in camera mia, e prendo "opere di cristallo".
    pere di cristallo è un libro che mi ha regalato mia madre, e che ho iniziato a leggere tempo fa.
    da quanto ho iniziato a venire da Narciso, non ho trovato più il tempo nè la voglia di dedicargli tempo, per cui era rimasto lì.
    peccato, era un libro bello.
    e mi metto a leggerlo per questo, e pèerchè non ho nientye da fare.
    la protagonista del libro si chiama Candace, e ha la mia stessa età.
    vive in una strana famiglia di sei componenti: lei, i genitori, la nonna, una sorella e un fratello maggiori; sembrano una famiglia unita, tanto che si assomigliano tutti sia d'aspetto (o almeno in ciò che i limiti dell'età rende possibile) sia di comportamento.
    eppure, candace ha un talento che la rende unica: in una famiglia totalmente priva di un qualsiasi orecchio musicale, lei sa cantare.
    la cosa totalmente assurda è che se ne vergogna, perché la famiglia l'ha sempre educata facendole intendere che il cantante è una delle peggiori professioni che ci siano...un po' come fa la volpe con l'uva, insomma.
    sono arrivata fin qui.
    magari, continuando con la lettura, capirò anche il senso del titolo del libro...

    8° CAPITOLO
    vengo svegliata dallo squillo del telefono.
    non ho una voglia al mondo di alzarmi, e cerco di affondare la testa nel cuscino e tornare a dormire.
    ma il telefono non smette di quillare...
    mi alzo:
    -mmm..
    -ehi, ciao Maty!
    sento la voce acuta di Alessia dalla cornetta rimbombarmi nella testa, ed avrei voglia di chiudere la chiamata...solo che Alessia è la mia migliore amica, e non posso trattarla male.
    -ciao...scusa, ma stavo dormendo...
    -infatti mi hai fatto aspettare un bel po', signorina...va bene, dai, non importa. ti va di uscire?
    -ora?
    -sì...cioè, tra poco.
    alzo la testa in direzione dell'orologio...sono le 15.oo.
    non mi ricordo neanche a che ora sono andata a dormire, ieri notte...ricordo solo che ho letto un bel po'...
    -a che ora?
    -quando ti pare, passa a casa mia.
    -beh...allora mi vesto e vengo.
    -ok, ti aspetto! ciao!
    Ale chiude.
    guardo per un po' la cornetta del telefono...
    io non ho molte amiche, e francamente non saprei dire di preciso come si comportano le vere amiche, cosa fanno e cose così.
    però, sono sicura del fatto che il mio rapporto con ale è strano.
    un po' perché sono strana io, un po' perché è strana lei.
    quest'oggi mi sono svegliata alle 15.oo, per uno squillo del telefono che è durato in una maniera esorbitante.
    è strano, anche se Ale sembra non accorgersene.
    infatti, al telefono ha aspettato paziente che mi svegliassi, per invitarmi da lei.
    bah.
    mi preparo, e cerco il volantino degli orari degli autobus cittadini.
    Alessia abita al centro della città.
    anche per questo il nostro rapporto è strano.
    non ci vediamo poi così tanto, anzi.
    beh...è semplicemente strano.
    mi ritrovo alla fermata dell'autobus ad aspettare il numero 4, che dovrebbe passare tra 10 minuti.
    non contando che di solito arriva in ritardo.
    la cosa brutta, è che quando aspetto, mi ritrovo a pensare.
    a tante cose.
    soprattutto al fatto che questo mondo è meschino e insensibile.

    9° CAPITOLO
    -hai una faccia da funerale- dice lei.
    -ciao, Ale..-dico io.
    lei si scansa per lasciarmi entrare nel suo appartamento, lanciandomi un mezzo sorriso.
    mi dirigo verso la sua camera, come sempre.
    il fatto è che la famiglia di Ale è...piuttosto caotica, ecco.
    lei ha quattro sorelle. e una madre incinta.
    e due padri, ma questa è un 'altra storia...
    in casa sua sono in sette, non contando il pancione della madre. tanta gente, troppo rumore.
    e nessun modo di essere ascoltata.
    di solito la camera di Ale è deserta, non so neanche perchè. semplicemente, le sorelle passano il loro tempo sempre in altre stanze, solitamente insieme.
    in cucina, o in salotto.
    Alessia chiude la porta dietro di sè, e mi guarda:
    -tu, invece, che hai? -le chiedo.
    -mi sei mancata... -mi fa.
    lo so. è sempre così, ci manchiamo. eppure non passiamo mai troppo tempo insieme.
    forse, è solo che ci piace vedere nell'altra un salvagente sicuro, un'ultima spiaggia nel momento della difficoltà...
    nel momento della massima difficoltà.
    -mi sento stanca, troppo stanca. e mi sento sola, dannatamente sola.
    la guardo:
    -racconta.
    lei mi dedica un sorriso di ringraziamento ed inizia a parlare..
    -come tu ben sai, quando sono alla ricerca di silenzio, esco da qui. esco, e cammino, cammino...spesso arrivo ai giardinetti pubblici. hai presente quali?
    annuisco:
    -quelli con i cespugli di rose...cioè, quelli nei quali, quand'eravamo bambine, c'erano numerosi cespugli di rose.
    -esatto. ho visto un ragazzo, lì... non so neanche il suo nome. so solo che va lì con il suo cane. ed in più l'ho visto girarsi verso di me, due o più volte... maty, non voglio innamorarmi.
    essendo seduta sul letto di Ale, prendo un angolo della coperta ed inizio a giocherellarci.
    lo so. neanch'io voglio innamorarmi.
    Ale non vuole seguire le orme della sua famiglia, perché anche in una famiglia tanto numerosa lei si sente terribilmente sola e non vuole ripetere la sua storia...
    non vuole innamorarsi, non vuole mettere su famiglia.
    noi vogliamo solo affermarci in ambito lavorativo.
    -stare con un ragazzo, talvolta, può smorsare il senso di solitudine...
    -stare con un ragazzo, talvolta, può farti soffrire, farti piangere, strapparti il cuore dal petto ed uccidere ogni tuo desiderio di vita.
    -sei macabra.
    -lo so.
    eppure non sembra, dal suo aspetto.
    -eppure, a quanto mi dici, questo ragazzo non ci ha mai neanche provato con te...
    -lo so.
    -e sei confusa.
    -qualcosa che non so?
    -che cosa?
    -il motivo della tua faccia da funerale.
    dunque è l'ora di giocare, come sempre. Alessia ha mostrato le sue carte, io ora mostrerò le mie.
    e forse, poi...
     
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  4. sara-chan
     
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    Oddio l'ho letto tutto d'un colpo...Veramente mi piace tanto!!!
     
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  5. ..--"rika"--..
     
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    lo hai letto..in 3 minuti °o°
    ma come hai fatto?!?
     
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  6. sara-chan
     
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    infatti ho detto tutto d'un fiato!
     
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  7. ..--"rika"--..
     
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    sono felice di sentirti dire questo, grazie^^
     
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  8. _Lucy+Hinata Friends 4ever!_
     
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    Bellissimaaaaaaaa *-*
     
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  9. ..--"rika"--..
     
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    ops, totalmente dimenticato di aggiornare =S
    provvedo...

    10° CAPITOLO
    Mi siedo sul letto di Ale. che c'è da raccontare? mi sembra niente.
    eppure, pensandoci, è tutto. ma è tutto stupido, e non mi sembra che valga la pena di essere raccontato.
    -ho litigato per l'ennesima volta con mia madre. per via di un vicino di casa, Narciso...
    lei si toglie i suoi occhiali dalla montatura fina e li pulisce nella t-shirt. sembra molto presa dal suo lavoro, ma io so benissimo che stà ascoltando. In realtà non perde alcuna parola che esce dalla mia bocca.
    -...è un signore di mezza età, uno scrittore. passo un sacco di tempo a casa sua, e quando mia madre lo ha scoperto si è arrabbiata.
    -scusa, ma da quant'è che hai preso l'abitudine di passare il tempo a casa di signori di mezza età?
    -da quando ho conosciuto Narciso.
    -ah, certo, ora capisco tutto, grazie del chiarimento.
    -prego.
    -stavo usando un po' di ironia...
    -anch'io.
    lei mi si siede vicina, poi aggoggia le gambe sopra le mie per appoggiare la sua guancia sulla mia spalla.
    -uno scrittore, dici? eccentrico. interessante. però lo sai che ha tua madre non piace che le si venga ribadito che non conosce affatto sua figlia...
    parla per me così come parla per sè. siamo tanto uguali quanto diversi, e questo è tanto un bene quanto un male.
    ci capiamo, ma abbiamo paura della sentenza dell'altra quando vogliamo fuggire dalla realtà.
    -però c'è qualcos'altro, su questo scrittore, che non mi hai detto.
    -mi par giusto.
    -ti par giusto che ci siano segreti fra di noi?
    -no, ma ci sono sempre stati. è da sempre che tu mi nascondi qualcosa, almeno siamo pare.
    forse, una ragazzina normale dell'età di Ale, a questa accusa avrebbe risposto alzandosi, con rancore, finendo con una litigata o invitandomi ad andare via.
    lei, invece, prende nel pugno parte della stoffa della maglia che indosso e si mette a stringerlo forte.
    stiamo così per altri dieci secondi, poi ci stacchiamo.
    -hai fame?-mi fa.
    la seguo in cucina dove, appoggiata al tavolo, sua madre stà dormendo.
    la dispenza della famiglia di Ale è sempre strapiena. forse, i genitori hanno un qualche terrore inconscio di non riuscire ad essere capaci di badare a tutta la prole.
    in questo modo, almeno sono sicuri di riuscire a sfamarli.
    Ale afferra due pacchetti di biscotti integri, l'uno al gusto di cioccolato e l'altro alla crema al limone, e si piomba fuori casa.
    la seguo nuovamente.
    -andiamo dal tuo bel tenebroso ai giardini?
    -ma anche no. non è l'ora x. però possiamo andare in giro qui intorno, se ti va.
    -va bene.
    camminando mangiamo, quindi non abbiamo modo di parlare.
    ma va bene così, basta stare l'una accanto all'altra.
    basta avere l'altra e sapere che c'è l'altra. e che forse ci sarà sempre.
    -oggi non voglio andarci ai giardini- dice.
    -ed io non ho intenzione di andare da Narciso.
    -succupe della mamma?
    -succube della paura dell'amore?
    biscotto.
    -io non ho paura dell'amore.
    altro biscotto.
    -io ho repulzione dell'amore. è diverso.
    finisco di masticare.
    -hai ragione- dico.
    passiamo tutta la mattinata a chiacchierare fuori, poi torniamo a casa sua, per dire a sua madre che pranziamo fuori e...verso le due e qualcosa ci ritroviamo in un ristorante con i menu in mano ed indecise su quale pizza scegliere.
    -merda...-la sento sussurrare, forse a sè stessa.
    mi volgo verso il suo sguardo e vedo attraverso i finestroni un ragazzo attraversare la veranda del ristorante e catapultarsi fuori.
    un ragazzo moro, i capelli decisamente troppo lunghi per un maschio secondo la mia concezione di maschio, probabilmente gli daranno anche fastidio alla vista.
    ma non importa. l'importante è sembrar affascinante.
    è piuttosto alto, età indefinita. è un ragazzo.
    un signore, dietro di lui, attraversa la sala da pranzo e si affaccia alla veranda gridandogli:
    -Federico, ricordati! domani hai il turno prolungato!
    -sì, capo! -risponde lui e corre via.
    mi giro verso Ale ed esprimo a parole il suo pensiero:
    -il tuo bel tenebroso è in età di lavoro e non ha evidente voglia di faticare.
    e poi ora sai almeno come si chiama.
    Federico.


    11° CAPITOLO
    Passo il pomeriggio con Ale.
    Tornando a casa, la sera, passando per il corridoio noto il portone d'ingresso alla porta di Narciso aperta.
    Mi scopro indecisa su ciò che dovrei fare.
    però poi afferro le chiavi che ho recuperato infilando le mie dita sottili nella piccola cassetta della posta e rientro a casa.
    quello che provo? non lo so neanch'io.
    sono felice, perché ho passato l'intera giornata con la mia migliore amica.
    il resto...
    il resto è semplicemente stanchezza. solo stanchezza.
    chissà che ore sono. probabilmente, l'ora di cena.
    dovrei andare a comprare qualcosa per cenare.
    però...
    ho molta stanchezza addosso, sono tanto stanca.
    mi infilo il pigiama e mi butto sul letto a peso morto, senza neanche fare un tentativo di mettermi a leggere un po'.

    -buongiorno -mi fa mia madre, vedendomi entrare dalla cucina.
    -ti sei alzata molto presto, oggi -nota lei.
    -che ore sono?
    -le cinque.
    mi gratto la testa, poi mi trascino fino ad una sedia del tavolo della cucina.
    per forza è presto. ieri mi sono coricata in anticipo...
    e poi io non riesco mai a dormire troppo.
    -vuoi del caffè? -mi chiede mia madre.
    -con del latte, grazie -rispondo.
    lei prende dalla credenza una mia vecchia tazza, di quand'ero piccola, me la mette davanti e la riempe per metà di caffè; poi prende biscotti e dolcezze varie e si accomoda vicino a me.
    -che fai oggi? -mi chiede, dopo una lunga sorsata.
    mi sembra tanto strano, parlare con mia madre del più e del meno.
    e fare colazione insieme.
    e comportarci come una famiglia (quasi) normale.
    -niente -dico.
    è vero. di fatto, sarebbe troppo strano uscire con Ale per due giorni di seguito.
    ci concediamo entrambe un'altra sorsata di caffè ed un morso di biscotto.
    io addento un biscotto al cacao e mia madre uno alla vaniglia.
    -senti...ti va di vedere a lavorare con me, oggi?
    mi sembra tanto, tanto, tanto strano.
    perché no?



    12° CAPITOLO
    quando ho accettato, non ho preso in considerazione parecchie cose.
    ad esempio, che andando a lavoro con mia madre avrei dovuto lavorare come una schiava in una piantagione di tè sfruttata da coloni inglesi.
    -come ti sei ridotta...- dico al mio riflesso deformato sull'acquario del ristorante.
    senza i miei capelli sciolti lungo le spalle, che ora sono raccolti da mille e una forcina sotto una cuffietta orripilante, sembra che io abbia le orecchie a sventola.
    senza contare poi la disgustosa divisa color salmone.
    un pesce, notandomi, mi si avvicina e mi guarda, attraverso lo specchio, come se fossi io l'animaletto strano che nuota in un parallelepipedo di vetro per intrattenere gli ospiti.
    -stupido...- gli sussurro, velenosa.
    mia madre mi vede e, avvicinandosi, mi poggia un piatto con una pizza quattro stagioni in testa:
    -tavolo deieci -mi fa.
    prendo con le mani il piatto e chiedo:
    -solo questo?
    -sì, quel ragazzo si è presentato da solo.
    annnuisco e mi dirigo verso il tavolo numero dieci...e chi trovo?
    mi immagino il pesce di prima guardarmi, inclinare la testa e chiedermi:"chi?".
    questo è uno dei segni più preoccupanti che indicano il mio delirio mentale.
    comunque, come dicevo...vedo Federico.


    l'ultimo capitolo è da finire...però adesso non sono dell'umore per provvedere ^^'
     
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8 replies since 7/2/2010, 00:52   167 views
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